1. La gestione del tuo tempo non è solo tua
Se da una parte devi sforzarti di trovare modi creativi per passare la giornata e affrontare la noia, dall’altra c’è una routine di reparto a cui non puoi sfuggire.
La giornata inizia intorno alle 6, quando vengono a misurarti la temperatura e, se ci sono, a far partire le prime flebo. Passa un periodo di incertezza in cui forse riesci ad addormentarti, forse no, dipende.
A un certo punto, che può essere alle 7, 7:30 o le 10, vengono a rifarti il letto.
Tra le 7:40 e le 8:20 c’è il prelievo del sangue (quotidiano, sì) e l’inizio del tran tran di terapie.
L’orario della colazione è un’incognita, perché dipende dal punto del corridoio in cui si trova la tua stanza. Più in fondo sei, più tardi arriverà. L’importante è che ti abbiano già fatto il prelievo. Indicativamente, arriverà dopo le 8:30.
A seconda del dottore, la visita può essere alle 9 come alle 11 (nel fine settimana può capitare anche mentre stai pranzando).
Poi c’è il turno della signora delle pulizie, che se è una di buona lena viene alle 8, altrimenti si farà viva anche lei sulle 10, attenta a non entrare quando c’è il dottore.
A mezzogiorno spaccato arriva il pranzo, il tuo stomaco non ha neanche fatto in tempo a realizzare la digestione della colazione. Ma o mangi quando arriva, o mangi tutto freddo. Già la qualità del cibo lascia a desiderare, non è il caso di farsi ulteriormente del male.
A metà pomeriggio vengono a misurarti i parametri vitali (pressione, saturazione, battito, temperatura) e passano di nuovo a pulire la stanza. Altro giro di terapie ed eventuali trasfusioni.
Alle 17:47 arriva il carrello del cibo con la cena. Meglio evitare gli spuntini pomeridiani se vuoi riuscire a mandare giù le prelibatezze dello chef.
Se hai più di un farmaco da iniziare alle 23 e trovi un infermiere clemente, può essere che anticipi di mezz’ora o un’ora l’inizio delle flebo, così non finiscono a mezzanotte inoltrata. Ma ci sono quelli precisini che fanno tutto puntuale, quindi ti ritrovi, a volte, con la pompa che suona a mezzanotte e quaranta. A te la decisione se aspettare ad addormentarti (se riesci a resistere) o farti togliere dalle braccia di Morfeo.
2. Condividere la stanza con un estraneo
È capitato quasi a tutti nella vita passare qualche notte in un ostello. C’è a chi piace. O vivere in camera doppia mentre si va all’università. Io preferisco la solitudine.
A prescindere, un conto è condividere la stanza con qualcuno per qualche ora al giorno con la possibilità di andarsene e cambiare aria a piacimento. Un altro è vivere ventiquattr’ore su ventiquattro per giorni e settimane con una persona che non conosci e non puoi scegliere. E puoi essere molto fortunato o molto sfortunato.
Alcune persone non hanno il senso dello spazio personale. Non si rendono conto che certi comportamenti possono arrecare disturbo all’altro. Decidono di passare le loro giornate in un certo modo e impongono la loro attività alla stanza. Il loro spazio prende il tuo, non c’è più separazione. E inizi a chiederti se essere ammalati non fosse già un fardello sufficiente da portare, perché adesso devi sopportare anche questo?
Oppure può capitarti una persona che capisce quali sono i limiti della convivenza e spende il suo tempo facendo le sue cose, ogni tanto fai un po’ di conversazione e la convivenza può essere pacifica.
3. Non hai privacy
Tutto il reparto sa esattamente quali sono le tue condizioni di salute. Niente è nascosto a nessuno.
E se sei in stanza con qualcuno, la privacy è solo un lontano ricordo. Saprà esattamente dove sarai e cosa starai facendo e cosa ti ha detto il medico e l’infermiera.
4. Il cibo lascia a desiderare
Ne avevo parlato qui. La qualità del cibo è infima, tanto che dopo un po’ di tempo non sai distinguere i sapori l’uno dall’altro. Devi provare tutto finché trovi i tre piatti meno peggiori che ti faranno tirare avanti.
5. Il letto
Ti chiedi se sia una tortura escogitata di proposito. I materassi sono durissimi. I cuscini sono di gomma piuma. Non darei un cuscino di gomma piuma nemmeno a un cane.
Risultato: se vai in ospedale per riposarti e curtarti, stai tranquillo che non riposerai bene affatto.
La mia esperienza in ospedale non è stata molto diversa da ciò che racconti, ed essendo stata in un altro paese, possiamo dire che sia la verità quasi assoluta.
Mio compagno di stanza Yuri, un uomo russo simpatico. Avremmo scambiato qualche frase. Mi ricordo ancora la nostra prima conversazione:
"C'è il calcio in TV, ti piace?". Gli dico di sì. "Anche a me", mi risponde.
Mentirei se dicessi che i nostri dialoghi andavano oltre le 4 battute. Sarà stata la differenza linguistica, il fatto che siamo uomini o, semplicemente, che il mondo in ospedale gira in modo diverso.