Sofferenza fisica: dove arriva il limite della sopportazione?
Il corpo umano è meraviglioso, ma a volte preferiresti non doverlo scoprire
Non ho mai subito gravi traumi fisici nella mia vita. Sono stata afflitta da mal di testa perduranti giorni, mal di schiena, dolori mestruali, e altri sintomi fastidiosi per cui passa il 99% delle persone almeno una volta nella vita, certo. Quando andavo a scuola, facevo assenze di massimo due giorni per un raffreddore con un po’ di febbriccola.
Se non soffri di malattie autoimmuni o condizioni croniche, il dolore è temporaneo: arriva, aspetti qualche giorno, prendi qualche farmaco al bisogno, e, alla fine, ti lascia in pace.
Quando il tuo sistema immunitario cessa di funzionare normalmente, è tutta un’altra storia. Quando il tuo corpo diventa un recipiente di chemioterapici, antibiotici, antifungini, antidolorifici, antivirali, antistaminici, (anti-metti-quello-che-vuoi-tu), il gioco va un altro livello.
Indice:
Quello che non ti aspetti
Esempi
Dolore che va, dolore che viene
Basterebbe una piccola tregua
Quello che non ti aspetti
Ci sono i disturbi “normali”, quelli che colpiscono la popolazione sana, e poi ci sono i disturbi “estremi”, direi, che non puoi comprendere se non ci passi.
Ognuno ha la propria percezione del dolore, una soglia più o meno alta entro cui inizia a soffrire veramente. Io penso di rientrare tra le persone con una soglia abbastanza alta e per questo faccio fatica a immedesimarmi e empatizzare con il dolore altrui. Tantomeno mi piace l’idea di prendere farmaci finché riesco a tenere duro.
Certo è che gli ultimi nove mesi mi hanno sorpresa e hanno ridefinito il mio rapporto con la sofferenza fisica.
Esempi
Aghi e cateteri endovenosi
Già quando ero bambina e andavo in ambulatorio per i vaccini di routine non sopportavo l’idea degli aghi. Guardavo dall’altra parte mentre l’infermiera faceva la somministrazione e sentivo quella cosa di metallo sotto la cute e il liquido iniettato.
Non direi di avere una vera e propria fobia, ma ho sempre odiato le sensazioni date dai corpi estranei sotto cute.
Figuriamoci quanto fui entusiasta quando al pronto soccorso mi infilarono un catetere di calibro notevole sull’avambraccio sinistro per prelevarmi il sangue e lasciarlo lì in vista di eventuali flebo. E questo era niente in confronto a quello che mi aspettava nei giorni successivi.
Appurato che sicuramente sarei stata ricoverata per un po’ e avrei dovuto sottopormi a ripetuti cicli di chemio, mi fecero impiantare un catetere venoso centrale (CVC) sul petto, sotto la clavicola destra.
Fu una vera e propria operazione chirurgica, con anestesia locale, in una sala operatoria. Un’operazione di routine, nulla di che a confronto di ben altro. Eppure, il dolore di sentire qualcosa che mi sfondava il petto, improvviso e sordo, non avrei potuto mai immaginarlo.
Fu un dolore costante dal momento dell’inserzione, che durò fino a oltre una settimana dopo. Pensavo che non sarebbe mai più passato. Tutta la muscolatura intorno al punto d’inserzione era tesa, come a volermi proteggere da quel dolore sordo, però ottendendo solo di aumentare ancora più la mia sofferenza. Sobbalzavo ogni volta che un’infermiera manipolava il catetere per prelevarmi il sangue o staccare una linea di infusione di flebo. E ogni piccolo movimento per alzarmi a sedere o girarmi portava con sé una fitta.
Prelievi del midollo
Per diagnosticare una leucemia e valutare la sua progressione non bastano gli esami del sangue. Bisogna effettuare una biopsia midollare o un aspirato midollare. La prima indaga tutto, comprese le mutazioni genetiche specifiche della malattia, mentre il secondo valuta solo la quantità di cellule leucemiche presenti nel midollo in un dato momento.
L’operazione di base è la stessa. Per semplificare, il medico inserisce un ago lungo e spesso in una delle ossa piatte e preleva dei campioni di midollo da far analizzare in laboratorio.
C’è un po’ di anestesia locale, nessuno in ospedale vuole che tu soffra. È che l’anestesia stessa brucia. Il ghiaccio spray che usano per “ingannarti” mentre infilano l’ago del prelievo brucia. L’ago di per sé, poi, non lo senti mentre affonda nell’osso. Senti se toccano accidentalmente un nervo. Ma il peggio è il dolore che provi mentre aspirano il midollo (il midollo è un tessuto, quindi si ritrova in forma liquida, come il sangue). Non c’è anestesia che tenga. Lo senti, anche con il dottore più bravo. Ed è semplicemente brutto, specialmente quando devono prelevare grandi quantità di campioni e ci mettono più tempo a tirare su.
Senza contare che, una volta scomparso l’effetto dell’anestesia, devi fare i conti con il mal di schiena per qualche giorno ogni volta che ti distendi proprio sopra il punto del prelievo.
Ho perso il conto di quante di queste operazioni abbia subito in tutto questo tempo. Non nego che a volte ho urlato durante le aspirazioni. Che spesso ho cercato di controllare il respiro, inducendo le infermiere a pensare che stessi iperventilando. No, volevo solo concentrarmi sull’unico elemento su cui potevo ancora esercitare la mia volontà. Ho pianto, a volte. Non mi ci sono ancora abituata. Quello che è cambiato in me in tutto questo tempo è che a fine giugno, quando mi hanno fatto il primo aspirato di controllo in ambulatorio, sono uscita dall’ospedale in fretta e furia sulle mie gambe come se non avessi fatto niente, dopo mezz’ora sotto osservazione, ho chiamato un taxi e sono tornata a casa. A inizio febbraio, poco più di un mese dopo il trapianto, sempre in ambulatorio, ho dovuto chiedere a mia sorella di tenermi sotto braccio e accompagnarmi in infermeria per farmi controllare la medicazione prima di andare a casa, perché non sentivo le gambe reggermi.
Dolore che va, dolore che viene
A parte operazioni specifiche come quelle di cui sopra, ho avuto anche altri tipi di disturbi. Per un certo periodo, confrontandomi con altri pazienti, mi sono addirittura quasi ritenuta fortunata di aver avuto certi disturbi anziché altri. Ma ho iniziato a pagare questo sconto iniziale con gli interessi.
Come dicevo prima, quando si sta bene si dà per scontato che i problemi fisici passino. Quando il corpo è debilitato, invece, la ripresa sembra più spesso un miraggio. Il dolore può essere talmente intenso che ti chiedi se passerà mai.
Tutta questa esperienza è stata una montagna russa di problemi fisici. A volte certe cose banali, per cui mi sono stati dati i farmaci che normalmente si danno in quelle situazioni, non passavano e basta. Ci sono problemi che per mesi non se ne sono mai andati del tutto, magari affievolendosi a tratti, ma sparendo solo arbitrariamente, indifferentemente dalle medicine che prendevo o applicavo in loco. Un giorno sono scomparsi di punto in bianco.
Allora, non posso affermare di credere che le medicine siano inutili. Tuttavia, ho compreso che devo armarmi solo di pazienza con qualsiasi nuovo (ma anche “vecchio”) problema mi si presenti la prossima volta. Devo dare tempo al tempo. Dare tempo al mio corpo, che ogni giorno deve sopportare e sopperire a molti più intoppi di qualsiasi corpo sano.
E poi, appunto, ci sono dolori lancinanti che durano pochi minuti o secondi, tipo quello di un catetere inserito nella vescica, che mi ha fatto urlare come una partoriente, e che ti tolgono il fiato quanto basta per pensare che al mondo non ci sia niente peggio di quello.
A volte ti chiedi se sia tutto nella tua testa, se tu stia esagerando la portata di quello che senti. Se aumenterà, se passerà da solo. Se devi chiamare l’infermiera o andare al pronto soccorso, quando sei a casa. Ti chiedi se saresti dovuto statre attento a qualcosa per evitare quel momento (Ti sei toccato con le mani sporche? Cos’hai mangiato? Chi hai visto?). Vivi quasi nella paranoia che potresti fare qualcosa di banale e normale e farti del male senza motivo e senza saperlo.
Quando ci sei in mezzo, continui a chiederti quando passerà, fino a quando riuscirai a sopportarlo, se mai se ne andrà. Ci tengo a sottolineare che nessun medico esita ad aggiungere la giusta dose di antidolorifico al bisogno. Finché sei chiaro nella comunicazione del grado di dolore. È che a volte è lì e basta e non c’è paracetamolo, tramadol, morfina che tenga (o non più di poche ore). Puoi farlo andare via temporaneamente, ma la causa di fondo può permanere per quello che ti sembra un periodo infinito.
Basterebbe una piccola tregua
Guardandomi indietro, mi rendo conto di essere, in effetti, sfinita anche psicologicamente da questa serie ininterrotta di problemi che hanno colpito il mio corpo, come effetti collaterali della malattia e/o dei farmaci.
Non ho avuto un giorno di tregua vera e propria. Anche questo basterebbe per ricaricare un po’ le energie. Invece, c’è sempre stato qualcosa in agguato. Adesso, per esempio, è l’infammazione del tratto gastro-esofageo a un punto che non riesco neanche a deglutire o a parlare normalmente. E prima ancora c’è stata l’infimmazione alle meningi, con i dolori cervicali e la nausea in momenti a caso, non risolvibile con i normali antiemetici.
Mi chiedo quanto ancora posso resistere, quali e quanti altri imprevisti possa tollerare.
Alla fine, tutto di solito prima o poi passa, ma a che prezzo? Quando il troppo sarà troppo anche per me?
Sei molto forte Eleonora. Le cose che racconti non posso immaginarle e mi rendo conto ogni volta di più quanto tu sia forte.
E non lo dico da uomo che si lamenta quando ha la febbre 🫣
Ho un pensiero per te e per la tua famiglia ogni giorno….sono consapevole che non è un aiuto tangibile ma mi auguro vi arrivi e lo sentiate💖