Non morire due volte
È questione di tempo. È questione di attesa. È imprevedibile. È difficile essere veramente preparati.
Eppure, dopo lo shock, dopo la conferma definitiva, ho capito che esistere e basta non è un’opzione.
Cioè, è un’opzione. Potrei, effettivamente, non alzarmi più dal letto e smettere di mangiare (io, smettere di mangiare, ma chi se la beve?), e aspettare.
Non fosse altro che potrei dover aspettare tanto.
Infatti, è l’attesa che uccide, non solo la malattia. Nel mio caso. L’attesa della fine inesorabile. Certe volte mi dico che sarebbe stato meglio se fosse successo all’improvviso, in ospedale, quando ero ricoverata. In generale, mi auguro che succeda qualcosa all’improvviso che mi porti via in fretta e non mi faccia tribolare tanto. Nessuno vorrebbe una morte lunga e dolorosa, vero?
Invece sono qui, giorno dopo giorno, a lasciare che lei mi consumi e a vedere quale altra parte del mio corpo sarà il suo prossimo obiettivo. Dall’occhio sinistro non ci vedo più da oltre un mese. Lei circola intanto nel mio sangue, indisturbata. E a ricordarmelo ci sono la stanchezza e gli ematomi sulla pelle, dati dalle piastrine basse, perché il mio midollo funziona a stento.
Nonostante questo, cerco di non limitarmi a “esistere”. Ogni giorno mi alzo dal letto, in qualche modo, e cerco qualcosa da fare durante la giornata. L’altro giorno ho camminato per quaranta minuti lungo il fiume qui vicino. Le forze me lo hanno permesso. Anche se stare fuori , con la luce, anche se è nuvoloso, mi frastorna. Un piede dopo l’altro, mi sono sforzata di camminare dritta, come le persone normali. Altri giorni cerco di impegnarmi in cucina. La sera cerco di far trovare pronte delle cene decenti ai miei quando tornano a casa dal lavoro. Qualsiasi cosa va bene, pur di sentire che fisicamente riesco ancora un po’ a funzionare. L’alternataiva, come ho detto, potrebbe essere passare le ore sul divano o a letto a fissare il vuoto e a ruminare i pensieri. Andava bene i primi giorni, ma non va bene sul lungo periodo.
La differenza tra di noi
Tutti moriremo. Solo che io mi sveglio la mattina e so che ho molto meno tempo di te perché quel momento arrivi. Almeno, la probabilità è molto più alta per me che per te, considerando gli incidenti. Il mio orizzonte temporale è quello che mangerò a cena o al massimo programmare qualcosa per uno o due giorni successivi, chiedendomi come starò, se ce la farò. Tu vivi tranquillamente sapendo che hai ancora mesi e anni da scontare su questa terra, in linea di massima. Io sono costretta ad accettare la mia mortalità qui e ora, giorno per giorno, tu puoi ancora rimandare questi pensieri, se vuoi. E sarai impreparato quanto me quando arriverà davvero il momento.
Ogni istante, ogni minuto, ogni ora, tutto mi ricorda che tra un po’ non ci sarò. A partire dalle persone che mi stanno intorno, che devono continuare a vivere la loro vita normalmente e a costruirla pezzo dopo pezzo. Lasciamo stare tutti gli altri e i social, dove tutto scorre indifferente. Eppure, da quando ero piccola so per certo che la vita va avanti quando muore qualcuno. La parte difficile è accettare che toccherà a te. Il mondo non smetterà di girare.
Intanto, cerco di non spegnermi nell’attesa e di avere una nuova normalità, imprevedibile, vivendo il presente che rimane.